L’uomo tornò a casa ubriaco per la terza notte di seguito. Nulla lasciava presagire un esito differente dalle due precedenti: un lungo andirivieni dal letto inagibile al bagno invaso dal vomito.
Solo per un semplice caso, il suo occhio destro fu risparmiato dall’accecamento; le chiavi di casa già in mano, era scivolato sull’ultimo gradino precipitando in avanti. Fu lo zerbino a salvarlo, spostandogli la mano di quei due centimetri sufficienti ad incidergli soltanto lo zigomo.
Con mezza faccia intrisa di sangue che già cominciava a scorrergli in bocca, riuscì faticosamente ad infilare la chiave nella toppa e a girarla. La voglia di tornare giù al bar e continuare a bere fino a ricacciare giù definitivamente i conati e il sapore metallico del sangue lo aggredì immediatamente dopo aver fatto irruzione nel bagno ed essersi guardato allo specchio.
Quella notte, dopotutto, sarebbe stata diversa. Nonostante varie tipologie di dolore lo circondassero da ogni angolo del corpo – la faccia gonfia, le tempie pulsanti, gola e stomaco in fiamme, i bronchi e i polmoni intasati dal fumo, tutte le giunture cigolanti – quella notte non era riuscito a raggiungere lo scopo così masochisticamente prefissato e conseguito dopo le maratone di tequila-sale-e-limone (inframmezzate da una decina di Bloody Mary) delle sere prima: infliggersi pene che avrebbero dovuto pervaderlo totalmente, senza dargli la minima possibilità di pensare a qualcosa di diverso dal vomitare fino all’ultima goccia di succo gastrico e poi cadere svenuto sul letto intriso di sudore.
Dopo aver dato una rapida occhiata a quel poco di riconoscibile che aveva il suo volto – l’occhio destro era già semichiuso per il gonfiore che andava rapidamente espandendosi fino alla palpebra inferiore – realizzò che, per quella notte, non sarebbe stato assolutamente possibile entrare in coma…a meno che non avesse fatto ricorso alla scatola di ansiolitici, tanto gelosamente custodita per i casi disperati.
Ma il mix sarebbe stato definitivo, letale, e lui non aveva per nulla bisogno di una morte indolore…non ancora.
Il suo cervello era ormai totalmente affollato di memorie e rimpianti. Erano soprattutto i rimpianti a rendergli insopportabile ogni singolo momento di residua lucidità.
Aveva mandato scientemente al macero un buon 75% della sua esistenza. Il restante 25% era crollato come logica conseguenza: un tetto non resta in piedi con le mura maestre lesionate. Elementare, Watson.
Per la verità, non aveva dovuto neppure impegnarsi troppo: aveva cinquantuno anni, non era mai stato un tipo brillante né piacente, secondogenito della quarta generazione di una stirpe di impiegati statali senza grilli per la testa…almeno fino a lui, almeno secondo il concetto di “grilli per la testa” che aveva avuto sua madre.
Tanto per cominciare, aveva deciso di non sposarsi (il che, nella rigida mentalità familiare che costituiva quasi tutto il suo DNA, significava che non avrebbe mai avuto figli, neanche per sbaglio); la genia di impiegati modello sarebbe morta con lui, dato che sua sorella, che aveva chiaramente sposato il direttore dell’ufficio del catasto della città, aveva ben presto scoperto d’essere sterile. Né lei, né i genitori avrebbero mai potuto perdonargli il rifiuto di mettere al mondo un nipote. E infatti non lo fecero.
Tagliati inesorabilmente i ponti con quella parte di mondo (l’unica scelta che avesse mai fatto era stata rovinosa per i tre quarti dei suoi rapporti sociali, ossia i tre parenti più prossimi), negli ultimi diciassette anni si era meticolosamente dedicato alla frammentazione del suo piccolissimo universo, con la pazienza e la tenacia di un collezionista di francobolli e il puntiglio di un costruttore di navi in bottiglia.
E ora, l’album sembrava quasi stare per essere completato…mancava giusto un paio di figurine. Il grosso dei pezzi mancanti era giunto in pochi mesi, dopo anni ed anni di vane ricerche, come il classico capolavoro scoperto sulle bancarelle di un mercatino rionale e comprato a due lire, dopo mucchi di paccottiglie e croste assortite ammassati in tutti gli angoli di una casa.
Il suo colpo di fortuna era stato, otto mesi prima, conoscere la classica lei insoddisfatta dei due lustri abbondanti di ferreo fidanzamento monogamo, che come fine di un’allegra serata di bagordi aveva commesso il tragico errore di concedersi un’allargata di gambe di troppo, ancorché fatta nella più candida buona fede. Quello che per lei era stato un colpo di testa estemporaneo, la classica botta di vita in un’esistenza grigia prima e grigia – anche se di tonalità più scura – dopo, per lui era stato un colpo di mannaia. Si era innamorato all’istante, compiutamente, irreversibilmente.
Il fatto di non avere la minima speranza di futuro lo rese immediatamente risoluto: ora aveva finalmente anche il movente per il suo suicidio programmato da anni.
Nei pochi attimi che seguirono il primo, devastante, conato di vomito, si convinse che l’attimo di porre fine al male di vivere fosse in realtà già arrivato.
Colse l’attimo: barcollando, selvaggiamente scosso dai tremori pre e post-conati, si liberò per l’ultima volta dei succhi gastrici e si fiondò sull’armadietto dei medicinali.
Disseppellì il blister di Roipnol da un pacchetto di garze elastiche. Lo svuotò interamente nel palmo della mano; inghiottì avidamente le pillole, senz’acqua. Immediatamente il bruciore all’esofago aumentò: se lo godette, fino in fondo. Del resto, sarebbe stata l’ultima volta.
Non avrebbe mai ricordato quel che successe nell’ora che ci volle perché le pasticche facessero effetto.
In seguito, si ipotizzò che avesse imboccato la tromba delle scale per raggiungere l’androne seguendo la strada più diretta…scavalcando la ringhiera, e bypassando le sei rampe di scalini.
I pochissimi che lo conobbero giurarono solennemente di aver sempre immaginato che un giorno se ne sarebbe andato così…era l’unico desiderio che avrebbe mai potuto realizzare con le sue sole forze.
Solo per un semplice caso, il suo occhio destro fu risparmiato dall’accecamento; le chiavi di casa già in mano, era scivolato sull’ultimo gradino precipitando in avanti. Fu lo zerbino a salvarlo, spostandogli la mano di quei due centimetri sufficienti ad incidergli soltanto lo zigomo.
Con mezza faccia intrisa di sangue che già cominciava a scorrergli in bocca, riuscì faticosamente ad infilare la chiave nella toppa e a girarla. La voglia di tornare giù al bar e continuare a bere fino a ricacciare giù definitivamente i conati e il sapore metallico del sangue lo aggredì immediatamente dopo aver fatto irruzione nel bagno ed essersi guardato allo specchio.
Quella notte, dopotutto, sarebbe stata diversa. Nonostante varie tipologie di dolore lo circondassero da ogni angolo del corpo – la faccia gonfia, le tempie pulsanti, gola e stomaco in fiamme, i bronchi e i polmoni intasati dal fumo, tutte le giunture cigolanti – quella notte non era riuscito a raggiungere lo scopo così masochisticamente prefissato e conseguito dopo le maratone di tequila-sale-e-limone (inframmezzate da una decina di Bloody Mary) delle sere prima: infliggersi pene che avrebbero dovuto pervaderlo totalmente, senza dargli la minima possibilità di pensare a qualcosa di diverso dal vomitare fino all’ultima goccia di succo gastrico e poi cadere svenuto sul letto intriso di sudore.
Dopo aver dato una rapida occhiata a quel poco di riconoscibile che aveva il suo volto – l’occhio destro era già semichiuso per il gonfiore che andava rapidamente espandendosi fino alla palpebra inferiore – realizzò che, per quella notte, non sarebbe stato assolutamente possibile entrare in coma…a meno che non avesse fatto ricorso alla scatola di ansiolitici, tanto gelosamente custodita per i casi disperati.
Ma il mix sarebbe stato definitivo, letale, e lui non aveva per nulla bisogno di una morte indolore…non ancora.
Il suo cervello era ormai totalmente affollato di memorie e rimpianti. Erano soprattutto i rimpianti a rendergli insopportabile ogni singolo momento di residua lucidità.
Aveva mandato scientemente al macero un buon 75% della sua esistenza. Il restante 25% era crollato come logica conseguenza: un tetto non resta in piedi con le mura maestre lesionate. Elementare, Watson.
Per la verità, non aveva dovuto neppure impegnarsi troppo: aveva cinquantuno anni, non era mai stato un tipo brillante né piacente, secondogenito della quarta generazione di una stirpe di impiegati statali senza grilli per la testa…almeno fino a lui, almeno secondo il concetto di “grilli per la testa” che aveva avuto sua madre.
Tanto per cominciare, aveva deciso di non sposarsi (il che, nella rigida mentalità familiare che costituiva quasi tutto il suo DNA, significava che non avrebbe mai avuto figli, neanche per sbaglio); la genia di impiegati modello sarebbe morta con lui, dato che sua sorella, che aveva chiaramente sposato il direttore dell’ufficio del catasto della città, aveva ben presto scoperto d’essere sterile. Né lei, né i genitori avrebbero mai potuto perdonargli il rifiuto di mettere al mondo un nipote. E infatti non lo fecero.
Tagliati inesorabilmente i ponti con quella parte di mondo (l’unica scelta che avesse mai fatto era stata rovinosa per i tre quarti dei suoi rapporti sociali, ossia i tre parenti più prossimi), negli ultimi diciassette anni si era meticolosamente dedicato alla frammentazione del suo piccolissimo universo, con la pazienza e la tenacia di un collezionista di francobolli e il puntiglio di un costruttore di navi in bottiglia.
E ora, l’album sembrava quasi stare per essere completato…mancava giusto un paio di figurine. Il grosso dei pezzi mancanti era giunto in pochi mesi, dopo anni ed anni di vane ricerche, come il classico capolavoro scoperto sulle bancarelle di un mercatino rionale e comprato a due lire, dopo mucchi di paccottiglie e croste assortite ammassati in tutti gli angoli di una casa.
Il suo colpo di fortuna era stato, otto mesi prima, conoscere la classica lei insoddisfatta dei due lustri abbondanti di ferreo fidanzamento monogamo, che come fine di un’allegra serata di bagordi aveva commesso il tragico errore di concedersi un’allargata di gambe di troppo, ancorché fatta nella più candida buona fede. Quello che per lei era stato un colpo di testa estemporaneo, la classica botta di vita in un’esistenza grigia prima e grigia – anche se di tonalità più scura – dopo, per lui era stato un colpo di mannaia. Si era innamorato all’istante, compiutamente, irreversibilmente.
Il fatto di non avere la minima speranza di futuro lo rese immediatamente risoluto: ora aveva finalmente anche il movente per il suo suicidio programmato da anni.
Nei pochi attimi che seguirono il primo, devastante, conato di vomito, si convinse che l’attimo di porre fine al male di vivere fosse in realtà già arrivato.
Colse l’attimo: barcollando, selvaggiamente scosso dai tremori pre e post-conati, si liberò per l’ultima volta dei succhi gastrici e si fiondò sull’armadietto dei medicinali.
Disseppellì il blister di Roipnol da un pacchetto di garze elastiche. Lo svuotò interamente nel palmo della mano; inghiottì avidamente le pillole, senz’acqua. Immediatamente il bruciore all’esofago aumentò: se lo godette, fino in fondo. Del resto, sarebbe stata l’ultima volta.
Non avrebbe mai ricordato quel che successe nell’ora che ci volle perché le pasticche facessero effetto.
In seguito, si ipotizzò che avesse imboccato la tromba delle scale per raggiungere l’androne seguendo la strada più diretta…scavalcando la ringhiera, e bypassando le sei rampe di scalini.
I pochissimi che lo conobbero giurarono solennemente di aver sempre immaginato che un giorno se ne sarebbe andato così…era l’unico desiderio che avrebbe mai potuto realizzare con le sue sole forze.
1° ottobre 2003
4 commenti:
Conciso e straziante... il cui breve e al tempo stesso pesante dark humor (non so se voluto da te o sentito da me) la' dove parli del DNA del protagonista... rende il tutto una piacevole e scioccante lettura. Il caso ha voluto che durante la mia lettura la radio desse l'Inno alla Gioia o, meglio, mix di sensazioni opposte.
Ecco, il dosaggio e' da somministrare per intero durante il suddetto pezzo musicale.
non capisco perche' il tuo post non segna commenti.
Grazie Paolo, un complimento da te è una tesi di laurea... e penso non ci siano commenti perché ancora nessuno è venuto a leggere la novità... :-(
P.S. - il Dark Humour è ampiamente voluto... e l'accostamento con Ludovico Van mi sembra un ottimo consiglio.
Posta un commento